PRIMA: Carignano, Chiesa della Misericordia, 22 dicembre 1991 TESTO: Vincenzo Gamna e Aldo Longo REGIA: Vincenzo Gamna COREOGRAFIE: Maria grazia Negro COSTUMI: Luciana Bodda, Giuliana D’Alberto INTERPRETI: Elsa Abrate, Carla Ostino (le sorelle Pasquina e Bertilla Settembre), Orazio Ostino (Gelindo), Dino Nicola (il sacrestano), Gionni Ebianne (Erasmo), Nuccio Cantamutto (l’antiquario) Libretto Uno spettacolo per ricostruire i luoghi del passato, e perpetuarne le storie, recuperando il dialetto che muore, perché con lui non abbia a morire la memoria. Uno spettacolo per segnare un altro momento di ricerca delle ragioni del nostro presente. Uno spettacolo per favorire la tenera grazia del ricordo. Al pastore Gelindo, caratteristica maschera della nostra regione, di notorietà minore rispetto a Gianduja, ma a ben vedere più di questi rappresentativo della semplicità della fede, della bonarietà, del buon senso tipici della gente piemontese, si lega una sacra rappresentazione di ambientazione natalizia e di autore anonimo, dalla chiara matrice popolare. La genesi di questo dramma popolare pare debba ricondursi al buon tempo antico, con ogni probabilità al sedicesimo o diciassettesimo secolo: tramandatosi oralmente di generazione in generazione, soltanto sul finire del secolo scorso il Gelindo è entrato nella storia della letteratura piemontese consolidandosi in un testo scritto – parte in vernacolo, parte in lingua -, di cui esistono a tutt’oggi più versioni, tra loro affini, ma non del tutti coincidenti. Nato dal popolo e perciò votato per sua destinazione naturale ad una fruizione popolare, il Gelindo si configura a tutti gli effetti come una fiaba natalizia, pregna di buoni sentimenti, ed afferente una visione della vita forse elementare ma certamente efficace, dove la sofferenza, la tribolazione, non è mai fine a se stessa, ma è transito necesario per il conseguimento della felicità eterna, dove insomma, l’esistenza terrena è guidata ed illuminata dalla presenza rassicurante del trascendente, dell’assoluto. Come potrebbe d’altronde etichettarsi se non come fiaba la vicenda improbabile, inaudita – anche se non priva di connotazioni poetiche – di un pastore sceso dal natio Monferrato a Betlemme per farsi “scrivere”, e a vendere ricotta? Ed è appunto l’impianto favolistico a rivelarsi espediente indispensabile per realizzare la fusione altrimenti impossibile tra la Sacra Famiglia e la famiglia rusticana di Gelindo, poste sullo stesso piano. Apologo popolare che possiede l’incanto dell’impossibile, consegnato per consentire una leggibilità semplice e diretta del mistero della Natività, il Gelindo viene riproposto dalla Cantoregi in una veste ridotta, sfrondato ed intrecciato ad una vicenda da strapaese, ambientata verosimilmente sul finire degli anni ’30, ma forse fuori dal tempo. Ne sono protagoniste le Sorelle Settembre, Pasquina e Bertilla, nubili entrambe, che sublimano la loro esigenza d’affetti impegnandosi anima e corpo in una inesausta attività di volontariato in ambito parrocchiale. Ed è così che, approssimandosi le festività natalizie, si improvvisano registe e, con l’ausilio dei compaesani, mettono in piedi uno spettacolo, il Gelindo appunto, allorchè la comparsa improvvisa sotto mentite spoglie di una improbabile reincarnazione di Erode, smanioso di impadronirsi delle preziose statuette lignee del presepe di loro proprietà, sembra poter pregiudicare l’esito della rappresentazione… Articolo tratto da “La Stampa” Vincenzo Gamna rappresenta al Macario uno spettacolo sulla Natività Gelindo, due zitelle e il bambino Come un antiquario può essere uguale a Erode Vincenzo Gamna è un benemerito. Da anni trasforma il suo genuino interesse per le tradizioni popolari in avvenimenti teatrali. Una volta era il teatro in piazza, a Carignano: colossali operazioni che portavano in scena centinaia di persone; poi arrivarono gli spettacoli più raccolti, ma non meno complessi e meditati. Adesso Gamna è arrivato al Gelindo, ad personaggio che con Gianduja occupa la zona più affettuosa del folklore piemontese. Al Macario, e con la collaborazione drammaturgica di Aldo Longo, Gamna rappresenta Le signorine Settembre provano il Gelindo. “Il Gelindo” è uno spettacolo sulla Natività, una fluviale narrazione delle vicende fiorite attorno alla venuta di Gesù sulla terra, espresse in un dialetto arcaico, di complessa tessitura sintattica. Gamna e Longo hanno inserito parte di questa epopea all’interno di un’altra storia, quella delle due sorelle Settembre che con buona volontà, ingenuità e fervore, preparano in parrocchia la rappresentazione del “Gelindo”. Siamo nello schema del teatro nel teatro; ma che volete?, sarà per l’affettuosità dell’operazione, sarà per la struggente malinconia delle sorelle e delle figurine che le circondano, non ci sentiamo per nulla disturbati. Se poi consideriamo che uno dei personaggi di contorno, quello dell’antiquario che vuole impadronirsi con l’inganno della statuina di Gesù, viene assimilato ad Erode, allora ci accorgiamo che l’espediente del teatro nel teatro acquista un profondo valore espressivo, crea un legame strettissimo tra una possibile contemporaneità e un lontano passato. E così, in una sacrestia ingombra di scale e di panneggi, si avvia un gioco teatrale che oscilla tra vita e fantasia, tra concretezza e ritualità. Le sorelle (Elsa Abrate e Carla Ostino) sono deliziosamente appassite. Una è svanita, l’altra è chiusa in un carattere spigoloso. Preparano la recita con un sacrestano piegato ad angolo retto, tremebondo come certi vecchi della Commedia dell’Arte (Dino Nicola). Predispongono un gioco nel quale entrano i personaggi e i figuranti di una rappresentazione dichiaratamente e sontuosamente popolare, che ha i suoi poli d’attrazione nella Sacra Famiglia e nella famiglia ruvidamente terragna di Gelindo (Orazio Ostino). Intorno a tutti fluttua la festa mobile degli angeli, dei pastori, dei Magi, dei contadini, dei servitori. Osvaldo Guerrieri