PRIMA: Carignano, Chiesa della Misericordia, 26 dicembre 1992 TESTO: Vincenzo Gamna, Marco Pautasso ed Eugenio Vattaneo, dal Decalogo di Krisztof Kieslowski REGIA: Vincenzo Gamna MUSICHE: scelte a cura di Marco Pautasso COSTUMI: Luciana Bodda, Giuliana D’Alberto SCENOGRAFIA: Koji Miyazaki COREOGRAFIE: Maria Grazia Negro INTERPRETI: Dario Geroldi (il padre), Andrea Pezzi (Paolo), Rita Fagnani (la nonna) Libretto Un uomo razionale, un docente universitario, ripone nella scienza fiducia incondizionata di poter conoscere e controllare la realtà, e superare così la casualità che governa speso le esperienze umane. Col figlioletto Paolo, che ha dispensato da un’educazione cattolica, vive un’intesa molto complice, fondata anche sulla passione comune per l’elaboratore elettronico. E il computer irrompe nel loro mondo con la possanza di una nuova divinità, cui demandare non soltanto la soluzione dei piccoli problemi del quotidiano, ma l’intera pianificazione esistenziale. Ad incarnare la prospettiva opposta, quella religiosa, ed accentuare così anche in termini generazionali la contrapposizione fede/ragione, è invece la nonna, che attraverso l’emozione garbata della memoria cerca di motivare al nipote le ragioni altrimenti inesplicabili del proprio credere. Ed è con l’indicazione di un cammino di speranza che tenta di confortare Paolo nel suo piccolo travaglio esistenziale, nell’affacciarsi angoscioso e d’inaspettato nella sua vita di sole risposte di un perché inquietante, della Domanda sul significato dell’esistere. Ma ciò che razionalmente si crede non possa mai avvenire al contrario accade, e mentre un coro di gente comune intona ossessivamente un rosario di frasi premonitrici, il rassicurante stato di cose che il padre ha edificato sulle proprie convinzioni scientifiche si sfalda. Viene sconvolto dal balenare improvviso di segnali avversi ed infausti, da premonizioni irrazionali che preparano all’imprevedibile, all’imponderabile, e che finiscono per sconfessare ogni presunzione razionalista. Ed è così che il latte, che è nutrimento di vita ed ha il colore dell’innocenza, senza ragione apparente, diviene sinistro presagio di morte. E’ il caso: indecifrabile, crudele, terribile, nel suo muto , gelido apparire. E’ il freddo silenzio, che forse solo il calore di una presenza tutelare può infrangere, o stemperare. Una presenza che, come afferma Kieslowski, può definirsi angelo, Signor Destino, un amico che non c’è più. Che ci osserva e ci sta vicino, anche se apparentemente tace. Ma che dona la sensazione di non essere mai del tutto soli. Il freddo silenzio è il racconto della dignità di due scelte, di due diverse concezioni di vita. Di chi cerca e trova nel dubbio la forza di guardare dentro di sé per rincorrere la Verità. Di chi vive la contraddizione dell’esistere per crescere. Sempre. Articolo tratto da “La Stampa” La cooperativa Cantoregi ne “Il freddo silenzio” Ateismo ghiaccio dell’anima secondo il teatro popolare L’ateismo, per quanto rispettabile, è il vicolo cieco dell’anima: infatti non conosce speranza e non allevia la disperazione. Questa tesi è il motiv ispiratore de ” Il freddo silenzio”, il nuovo spettacolo della cooperativa Cantoregi in scena fino a Domenica nella chiesa della Misericordia. Come si vede, non siamo più nell’ambito dell’autodranmma, di quelle narrazioni popolari, epiche povere con cui gli abitanti di Carignano, guidati da Vincenzo Gamna hanno messo in scena se stessi e la propria storia. Siamo ormai nel vivido territorio del teatro di idee, per di più derivato da una matrice illustre, e cioé dal primo episodio del “Decalogo” di Kieslowski. Ancora un passo e questo teatro (tuttora fondato sulla partecipazione popolare e sul volontariato) sconfinerà nel prodotto d’autore. E’ augurabile? Diviso in 18 quadri, “Il freddo silenzio” ci presenta un figlio e un padre felici dell’immanenza della loro vita. L’uomo è uno scienziato e il piccolo assorbe inevitabilmente il suo universo mentale. Hanno per interlocutore il computer, al quale chiedono persino se sia il caso di pattinare sul ghiaccio. La macchina sembra avere perciò un potere assoluto, che tuttavia non tiene conto delle minuscole, impercettibili variabili di cui è intrisa l’esistenza. E così il ghiaccio dato per solido si spacca, inghiottendo il bambino. Disperazione somma, che resterebbe tragicamente cupa se al padre non apparisse la luce rivelatrice del Cristo. Sui due praticabili, che a diversa altezza, ospitano l’azione scenica, fra guglie di plastica bianca e azzurrina che ricordano stallagmiti di ghiaccio, il racconto si snoda per scene rapide ed essenziali, cucite insieme dall’apparizione dolce e misteriosa di un angelo che esegue al sax “Summertime” di Gershwin. Qui Dario Geroldi e il piccolo Andrea Pezzi vivono l’esemplare percorso della loro storia, circondati con discrezione dalla comunità: i bambini che escono da scuola o pattinano sul lago ghiacciato; i vigili del fuoco che, con corde e pertiche cercano il corpo dello sfortunato ragazzo; una trepida nonna, che incarna la coscienza cristiana del dramma. Attori bravi e figuranti delicati. Ma non è questo il merito grande di uno spettacolo oggettivamente ben fatto e di sicura presa sul pubblico. Il fatto notevole è lo spirito di questa e delle precedenti realizzazioni, quel voler far teatro con la sola ricchezza della fantasia. Osvaldo Guerrieri