Una famiglia nel ’43 PRIMA: Carignano, Chiesa della Misericordia, 15 aprile 1994 TESTO: Vincenzo Gamna, Marco Pautasso e Eugenio Vattaneo REGIA: Vincenzo Gamna MUSICHE: Scelte a cura di Marco Pautasso COSTUMI: Luciana Bodda SCENOGRAFIA: Koji Miyazaki INTERPRETI: Dario Geroldi (Italo), Margherita Gili (Ida), Giuliana Moschini (Jole Giarelli), Maria Rita Flesia (Orsola Calosso), Alessandra Lappano (Serena), Andrea Pezzi (Lorenzo), Alessandro Albanese (Davide Lattes), Giovanni Moretti (voce narante) Libretto “Notte in un paese / senza nome / il sole è sul confine” Nelo Risi Il dovere della memoria, perché l’oblio non avanzi. La forza della memoria, per derivarne un gesto teatrale, possibile e necessario. Come una sofferta discesa nei ricordi, per raccontare della lunga “notte” del ’43, di quell’anno in cui le lancette della Storia parvero impazzire, perché gli eventi che scandiscono e governano il fluire del tempo si succedettero incalzanti: il 25 luglio, l’8 settembre, la Resistenza. Come una fotografia in bianco e nero: per ritrarre un “paese” alla deriva e “senza nome”, ché ha smarrito la sua identità di nazione; per meglio riconoscere le tracce un poco confuse che conducono al nostro presente; e per tentare di distillare le forti emozioni di quei giorni, dove si abbozzarono i colori della nuova Italia. Quelle ore decisive rivivono nella vicenda di una famiglia, del suo avvitarsi agli eventi, al loro vorticare in quel fatidico anno: la fine dell’illusione imperiale, i primi bombardamenti, lo sfollamento, l’autarchia, la caduta del regime, la fame, le tessere e la borsa nera, l’armistizio, i rastrellamenti, gli arresti le deportazioni. Ne esce disgregata, viene spezzata la corda sottile che teneva legati i destini dei suoi componenti, proiettati in una realtà angosciosa che impone scelte risolute e dolorose, strappi affettivi laceranti. Si delineano traiettorie di vita diverse, inconciliabili, forse definitive: ricorrere alla fuga e all’esilio volontario, scegliere senza remore la clandestinità e l’impegno, non volere rinnegare il passato ed anticipare in un atto disperato la propria linea d’ombra. Ma c’è chi scopre nella disperazione il volano di una nuova speranza, da coltivare e crescere nelle avversità, chi nella sofferenza percepisce e recupera le ragioni più profonde del vivere. E cerca semplicemente di affrancarsi dall guerra, che ne ha fatto attori passivi, di mondarsi dal peccato originale che ha macchiato una generazione. Occorre volgere lo sguardo oltre il buio “confine” del momento, là dove stanno i desideri e le idee, Già si intravede il “sole”. Basta sfogliare il calendario della vita: forse si approssima una bella stagione. Di libertà. Articolo tratto da “La Stampa” Torna con successo a Carignano l’originale compagnia del Cantoregi L’intero paese recita in chiesa Dramma di una famiglia disgregata dalla guerra Per opporsi all’oblio, distratto o tendenzioso che sia. Per ricordare in primo luogo a se stessi che la Storia non è nient’altro che il passato collettivo a cui si appartiene e da cui proveniamo. E che in quel passato ci sono le ragioni del nostro vivere presente. del nostro vivere liberi. E’ questa la motivazione profonda che anima Vivere! Una famiglia del ’43, il nuovo allestimento dell’associazione teatrale Progetto Cantoregi, in scena nella chiesa della Misericordia di Carignano. Se non avete mai visto un loro spettacolo, se pensate che per fare teatro oggi siano indispensabili consistenti mezzi economici, contributi ministeriali, attori consumati di fama nazionale, macchinose scenografie computerizzate, andateci, una di queste sere. In quella chiesa vedrete uno spettacolo realizzato da un intero paese, che ha attinto dalla propria memoria, dalla proprie piccole storie che hanno contribuito alla Storia, che ha da sempre, come unico mezzo, un’unica grande passione che lo accomuna. Riscoprirete, forse, il fascino della semplicità, e le emozioni trasmesse da un rito autentico celebrato con sincerità e dedizione. Ciò che si racconta è il dramma di una famiglia di Carignano, disgregata dalla guerra. In quel fatidico 1943, una donna, suo marito e il loro figlio si trovano a dover fronteggiare la caduta del regime, i bombardamenti, lo sfollamento, la fame. Lui, figlio di una maestra elementare al convinto credo fascista, è un reduce di guerra, debole e confuso e sceglierà di rifugiarsi in Svizzera; lei traduce in azione la sua insofferenza e fugge sui monti, aderendo alla lotta partigiana. Resta il bambino, troppo piccolo per capire ciò che sta capitando, ma già sufficientemente grande per accumulare immagini e sensazioni. Sono infatti i suoi ricordi a scandire ed evocare i 15 quadri di cui è composto lo spettacolo, tra le canzonette trasmesse alla radio (l’altare della chiesa è stato trasformato per l’occasione in un’enorme radio d’epoca), sino al cruciale 8 settembre, con i rastrellamenti e i partigiani usciti allo scoperto. La preghiera finale del bambino, in cui l’imperativo fascista “Vincere!” viene finalmente tradotto in “Vivere!”, è inevitabilmente uno dei momenti più toccanti ed intensi. La regia dello spettacoloè come sempre dell’anima del Cantoregi, Vincenzo Gamna, che firma anche il progetto e la composizione accanto a Marco Pautasso ed Eugenio Vattaneo. Una quarantina gli interpreti, tutti abitanti di Carignano. La straordinaria voce recitante è invece quella di Giovanni Moretti. Monica Bonetto