PRIMA: Carignano, Piazza S. Giovanni, 13 Settembre 1991 TESTO: Vincenzo Gamna e Eugenio Vattaneo, da La malora di Beppe Fenoglio REGIA: Vincenzo Gamna MUSICHE: Riccardo Allione e Eraldo Sommacal COSTUMI: Cristina Da Rold e Silvia Nebiolo, Luciana Bodda e Giuliana D’Alberto SCENOGRAFIA: Carlo Arduino COREOGRAFIE: Maria Grazia Negro INTERPRETI: Rita Fagnani (Fede), Alessandro Albanese (Agostino), Orazio Ostino (Giovanni Braida), Elsa Abrarte (Melina Braida), Dino Nicola (Tobia Rabino) Libretto La scelta di un testo come La Malora di Beppe Fenoglio, per realizzare una drammatizzazione popolare che raccontasse una storia “nostra” è stata naturalmente facile e sicuramente felice. Più difficile invece, farne una drammatizzazione allo stesso tempo semplice e significativa per tutti. Rappresentare la storia del giovane Agostino mandato, per povertà, a fare il garzone nella cascina del Pavaglione è come proporre ad una certa generazione di persone di ripercorrere, con la memoria, la loro stessa storia. Ma per i giovani e gli adulti al di sotto di una certa soglia, che significato può avere, oltre che quello di documentare un passato ormai finito? Da questa domanda, che ci siamo posti, nella prima genesi di questo spettacolo, è scaturita l’unanime constatazione dell’attualità di un personaggio come il protagonista del romanzo di Fenoglio. E l’attualità di Agostino consiste nell’essere un lavoratore senza contratto definito, né precise garanzie, un precario diremmo oggi; ed egli è passionalmente cosciente di essere l’ultima ruota di un carro guidato da altri, ma incapace di reagire ad una tradizione di ingiustizia che, nel mondo contadino piemontese, è stata tante volte subita con l’aiuto di una religiosità spesso più repressiva che liberatoria, seppure carca di sublimante poesia almeno nella memoria. Abbiamo allora voluto sottolineare questo aspetto attuale del personaggio, creandogli un doppio: Lorenzo, un lavoratore precario di oggi che, facendo una sostituzione in un ospizio, incontra la vecchia Fede, effimero amore di Agostino al Pavaglione di tanti anni fa. E’ lei che parlando del suo primo “moroso” mai scordato ne evoca il fantasma, visivo e sonoro, e da il via al racconto che, dopo una breve premonitrice ouverture che ci richiama al clima di religiosa povertà dell’epoca, comincia a narrare la “microstoria” del nostro garzone. Articolo tratto da “La Repubblica” Semplice e suggestiva “Malora” a Carignano con la Cantoregi Così per Fenoglio si ripete il miracolo del teatro in piazza Carignano, venerdì sera. Il paese, non il teatro. La piazza del duomo come palcoscenico, la chiesa come fondale, due lunghe quinte fatte di canne di fiume. “La malora” di Beppe Fenoglio come storia da ricomporre in quadri. Un’intera comunità di persone, 150 persone impegnate a raccontarla con immagini e parole. Il miracolo di un paese che fa teatro si ripete grazie alla passione e alla tenacia della Cooperativa Progetto Cantoregi guidata da Eugenio Vattaneo e Vincenzo Gamna che quest’anno ha scelto di tradurre in rappresentazione popolare l’aspro, bruciante racconto dello scrittore di Alba. Gli ha dato sostanza scenica con una semplicità che, se pur a tratti appesantita da una superflua zavorra didattica, risulta efficace nel ricostruire suggestive visioni foriere di meraviglia. Visioni vere e necessarie di cui spesso non vi è traccia negli spettacoli di un’intera stagione. C’è qualcosa di nobile e struggente nel religioso modo di fare teatro della Cantoregi, c’è la capacità di stupirsi e la voglia di faticare, c’è l’ambizione di recuperare il dialetto come forte segno espressivo. Potrete rendervene conto questa sera o domani andando a Carignano. In poco più di due ore e in 24 quadri si srotola la vicenda di Agostino mandato a servizio al Pavaglione per una sacco di patate e una camicia. Una storia di Langa fatta di miseria e di speranze che Gamna e Vattaneo giocano tra passato e presente, fra gli anni trenta e i giorni nostri, tra nostalgia e fatalismo, sul filo della memoria della vecchia Fede, fugace amore di Agostino in gioventù, oggi costretta in un ospizio.Una voce fuori campo riporta la lingua scabra di Fenoglio, a cominciare dallo splendido inizio: “Pioveva su tutte le Langhe, lassù a San Benedetto mio padre prendeva la sua prima acqua sottoterra”. I quadri che via via si compongono in scena sembrano il naturale riflesso. Una lingua caparbiamente costruita, quella di Fenoglio, per il quale scrivere è suonare con la penna una melodia fatta di cose oltre che di parole. Che la sua musicalità venga tradotta in immagini forti ed essenziali è il pregio dello spettacolo. Che a volte l’azione ripeta ciò che la voce fuori campo ha appena descritto è il difetto. Sopportabile, comunque. Gian Luca Favetto
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