PRIMA: Carignano, Piazza S. Giovanni, 7 settembre 1979. Una nuova edizione dello spettacolo è stata effettuata Carignano settembre 1980, per consentire le riprese di ’Na scudela ’d fioca, autodramma di una città, realizzata dalla Rai nel 1980, a cura di Piero Bianucci TESTO: Vincenzo Gamna REGIA: Vincenzo Gamna MUSICHE: Carlo Artero COSTUMI: Koji Miyazaki SCENOGRAFIA: Cornelio Pecchio INTERPRETI: Lazzaro Nicola (Lazzaro Pejretti), Rita Fagnani (la signora Pejretti), Geppe Vassarotto (Geppe Pejretti) Piera Meinardi (la vedova Audiberti) e circa duecento attori di Carignano e dei comuni limitrofi Tratto da “La Stampa” “’Na scudela ‘d fioca” a Carignano Il dramma di una città che recita se stessa Hanno lavorato per mesi intorno alle vicende della loro città. Hanno frugato nelle biblioteche per trovare documenti e testimonianze, sono andati a cercare nelle soffitte gli abiti dei loro nonni: alla fine, gli abitanti di Carignano, guidati dal regista Vincenzo Gamna, hanno allestito “’Na scudela ‘d fioca”, dramma di una città che recita se stessa e, col pretesto del teatro, riannoda i fili con un passato che avrebbe forse rischiato l’oblio. Questo terzo “autodramma” abbraccia gli anni compresi tra il 1880 e il 1918. Attraverso le vicende della famiglia Pei retti, passa in esame gli avvenimenti traumatici di quel periodo: la rivoluzione industriale, il lavoro minorile, i tumulti di Torino nel ’17, quando era divenuta gravissima la crisi economica, e lo scoppio della grande guerra. Ci sarebbe da rabbrividire dinanzi ad una tale ricchezza e complessità di temi. Ma Gamna e i duecento carignanesi che hanno messo mano all’operazione hanno dimostrato un coraggio straordinario e hanno montato uno spettacolo che riserva momenti di bella intensità e qualche inopinato scivolone. Gamna è bravissimo nel creare le scene corali, fa muovere trenta, quaranta attori non professionisti con assoluta naturalezza; è impagabile nel creare tableaux vivants (ad esempio la marcia del quarto stato dipinta da Polizza da Volpedo); provoca un sicuro coup de theatre quando fa passare la nave sulla quale si erano imbarcati gli emigranti per l’Argentina; visualizza benissimo il valzer del capitale con la borghesia sullo sfondo della disperata miseria contadina. Quando infligge salutari colpi di piccone alla retorica patriottarda, utile ai generali e ai “pescecani”, rischia però di cadere nella retorica opposta, quella degli umili che pagano sempre per le guerre provate dei potenti. Ma, soprattutto, che bisogno aveva di far recitare il famoso monologo di Artuffo “Dammi quella litura…”? E’ un momento che spiazza il senso dell’intera operazione. Sarà stata, pensiamo, una debolezza nei confronti del “teatro” e dell’intrattenimento, ma non erano rivolti a questo fine gli sforzi dell’intera popolazione. Osvaldo Guerrieri Articolo tratto da EPOCA Che sorpresa un paese in una ciotola di neve Una sera di fine estate a Carignano, venti chilometri da Torino. “Le suore di clausura al loro posto” intima una voce degli altoparlanti nella vasta piazza San Giovanni. Che sia sua Eccellenza il vescovo, santamente deciso a diffondere una pubblica reprimenda a qualche comunità di monache fuorviate? Il sospetto è immediatamente fugato dalla stessa voce che, perentoria, invita a prendere il loro posto “anche quelli del Quarto Stato”. Dopo di che, le luci si accendono sul palcoscenico montato davanti al duomo e si va a cominciare. L’immaginario prelato è, in realtà, Vincenzo Gamna, regista di scuderia Rai ma, in quanto genius loci carignanesi, animatore appassionato e guida degli spettacoli con cui, da quattro anni, la città di sabaude rimembranze sceneggia e racconta le sue vicende. Sull’esempio dell’ormai illustre Teatro Povero di Monticchiello, vanno molto di moda questi “autodrammi”, termine che significa drammi fatti in casa per uso e consumo interno. Una gran festa tra compaesani o concittadini. Quest’anno, a replica dell’anno scorso, per tre sere e per la ripresa televisiva, di carignanesi in scena ce ne sono stati un centinaio, a raffigurare antenati e ascendenti in pagine topiche di storia locale tra il 1880 e la gloria di Vittorio Veneto. Povere tessitrici, perfidi aristocratici e avidi borghesi, miseri emigranti su tanto di nave Sirio, burbanzosi generali e fantaccini da macello, il capitano che l’è ferito ta-pum ta-pum, operai in sciopero, oltre alle già citate monache di clausura estromesse dalla loro casa di preghiere e ai contadini del “Quarto Stato” schierati secondo il pennello di Polizza da Volpedo. Una successione di quadri, per fortuna più plastici che recitati, sostenuto da una colonna sonora continuamente svariante, ricchi di popolaresco esito figurativo e trasudanti la nobile intenzione di stigmatizzare l’esosità dei ricchi, la sanguinaria idiozia della guerra, l’insulsaggine dell’amor patrio, le distorsioni del clericalismo: per converso, scandite dalle vicende di una famiglia tipo, l’affettuoso ritratto d’una società proletaria umiliata e offesa, talvolta costretta a sfamarsi, come vuole il titolo dell’autodramma, con ‘na scudela ‘d fioca, ovvero una ciotola di neve. “Ah, questi Brecht della riva sinistra del Po”, mi ha bisbigliato all’orecchio, senza ironia, un amico carignanese, mentre la piazza echeggiava di fervidissimi applausi e gentili fanciulle distribuivano gianduiotti. Carlo Maria Pensa