E dio mi fece donna. 1° movimento
Oratorio laico sull’8 marzo, di Vincenzo Gamna e Marco Pautasso, regia di Koji Miyazaki. (Chiesa Santa Croce- Racconigi)
Oratorio laico sull’8 marzo, di Vincenzo Gamna e Marco Pautasso, regia di Koji Miyazaki. (Chiesa Santa Croce- Racconigi)
9 – 10 giugno Area Spettacoli ex Ospedale Psichiatrico di Racconigi PROGETTO CANTOREGI La crociata dei bambini Dal testo notissimo di Marcel Schwob una rilettura teatrale realizzata con gli allievi della Scuola Media di Racconigi per sviluppare teatralmente il tema dei bambini soldato, dei bambini kamikaze, delle guerre civili, dei bambini schiavizzati. Un terribile fatto storico, raccontato da tradizioni popolari un po’ intrecciate e mescolate con leggende, per provare a raccontare anche il nostro drammatico e a volte inspiegabile presente. Quando la storia non insegna nulla.
di M. Agnese Fossati e Vincenzo Gamna regia di Vincenzo Gamna Uno spettacolo realizzato con la scuola media B. Muzzone di Racconigi e dedicato ai 150 anni dell’Unità d’Italia, costruito su tableaux vivants che riprendono le immagini ricavate dai tabelloni didattici PARAVIA che campeggiavano sino a qualche decennio orsono in tutte le scuole italiane, e sui canti risorgimentali che raccontano l’epopea dell’unità d’Italia come quello che dà il titolo a questa proposta.
Liberamente tratto dall’omonimo saggio di Norberto Bobbio PRIMA: Mercoledì 13 Ottobre 2010 TESTO: Giovanni De Luna, Vincenzo Gamna, Marco Pautasso REGIA: Koji Miyazaki INTERPRETI:Elide Giordanengo, Irene Avataneo, Giulia Aragno, Anita Cordasco, Bertè Bakary, Ibrahim Cissè, Vincenzo Leuzzi, Manlio Pagliero, Emanuele Romagnoli INTRODUZIONE: Giovanni De Luna Libretto Uno spettacolo per raccontare, in un’epoca dominata dall’arroganza, dalla violenza, dalla sopraffazione, una virtù dimenticata, nella sua dimensione sociale ed individuale, facendosi guidare ed ispirare dalle pregnanti pagine bobbiane. Una virtù rivoluzionaria, per certi versi, una qualità forse imprescindibile per provare a cambiare il futuro del nostro mondo.
TESTO: Vincenzo Gamna, Rosalba Oletta REGIA: Vincenzo Gamna INTERPRETI: Anita Cordasco, Orazio Ostino, Dario Geroldi, Nicola Stante Libretto La storia della “fabbrica immaginaria” fondata da Cavour per dare lavoro agli esuli meridionali affluiti in Piemonte dopo i subbugli napoletani del ’48. Ma che cosa mai avrebbero potuto fabbricare giuristi, economisti, generali, matematici, preti?
PRIMA: 4 giugno 2009, Ex Ospedale Psichiatrico di Racconigi TESTO: Berte Bakari REGIA: Koji Mijazaki Lo straniero è oggi realtà da cui non si può prescindere. Il suo volto è lo specchio dove si riflette il nostro presente. Ci obbliga ad interrogarci, a guardare la nostra patria dal di fuori, come stranieri a nostra volta.
PRIMA: 27 giugno 2009, Racconigi REGIA: Koji Miyazaki TESTO:Vincenzo Gamna, Marco Pautasso INTERPRETI:Elide Giordanengo, Anita Cordasco, Adriana Ribotta, Cristiana Soci, Daniela Gazzera, Fabio Ferrero Il rinvenimento casuale ma fortunato, in un deposito del comune di Racconigi, di un quadro di Giuseppe Augusto Levis, allievo di Delleani, raffigurante la fuga disperata di alcuni superstiti del terremoto di Messina del dicembre del 1908, è la fonte ispiratrice di questo spettacolo. La visione inattesa e folgorante di quel dipinto è la scintilla che ha acceso la nostra creatività, e che ci ha spinto ad una breve ma intensa azione teatrale. Quel quadro, oltre a fornire l’intuizione drammaturgica, costituisce anche l’ apparato scenografico predominante della messinscena. Un’opera per altro incompiuta, intitolata Piangenti , dipinta forse per farne dono allo Zar Nicola II in occasione della sua visita ufficiale a Racconigi nell’ottobre 1909, come ringraziamento per l’aiuto straordinario offerto dai marinai russi nel terremoto di Messina. Un dipinto dall’enorme capacità evocativa, e soprattutto, dall’oscura potenza rivelatrice. Che ci dice ben oltre l’immagine. Che sembra oltretutto farsi specchio del nostro drammatico presente, avvicinando L’Aquila a Messina. Come a spezzare la linea del tempo, riscrivendo e rovesciando gli assi della temporalità. L’azione teatrale sembra apparentemente riprodurre gli schemi propri della tragedia greca. Ha invece gli stigma e i colori di un’estenuante cerimonia funebre fuori dal tempo, dove la cognizione del dolore pare incarnarsi, scolpirsi nel volto delle nostre “piccole madri”, tanto da mostrarsi quasi sublimata, come filtrata dalle lenti di un disincanto: la consapevolezza cioè che l’angoscia per il proprio destino, quel senso lacerante derivante dal rapporto irrisolto tra uomo e mistero, debba invece trasfigurarsi in un sentimento di rassegnazione e, conseguentemente, di pacificazione. Come a voler rappresentare, di fronte a questi eventi tragici, a queste terre infrante , ieri come oggi, la nostra inadeguatezza, la nostra incompiutezza, proprio come il quadro di Levis. Perché, d i quel che accade, noi sappiamo solo che accade, ma non ne possediamo mai il significato. L’evento è oscuro. Sempre.
Liberamente tratto dall’omonimo libro di Nuto Revelli di Vincenzo Gamna e Marco Pautasso, regia Koji Miyazaki Don Raimondo: Viale Aldo Demontis Voce di don Raimondo Viale: Valerio Dell’Anna Cantore ebraico: Samuel Lampronti Narratori: Irene Avataneo Chiara Bodda Marco Chiavazza Caterina Ciravegna Anita Cordasco Cristina Curti Fabio Ferrero Dario Geroldi Elide Giordanengo Germano Giordanengo Mara Ghibaudo Vincenzo Leuzzi Orazio Ostino Emanuele Romagnoli Nicola Stante Progetto e composizione Vincenzo Gamna e Marco Pautasso Elaborazioni sonore Gilberto Richiero Maestro di canto Sergio Daniele Costumi Luciana Bodda, Rinuccia Burzio e Margi Mordenti Tecnico luci Dario Sardo Tecnici di scena Mino Appendino, Bruno Crippa Segreteria Agnese Bosio Ambiente, luci e regia Koji Miyazaki Libretto Uomo libero e scomodo, prima ancora che prete, don Raimondo Viale è una delle tante figure eroiche rimaste nascoste nelle pieghe della storia, un po’ come Schindler o come Perlasca. Il Prete Giusto è la testimonianza di un sacerdote che della giustizia ha fatto la propria ragione di vita. Resistere è stata sempre la sua parola d’ordine: resistere ai soprusi, resistere al pestaggio, resistere alla condanna al confino, ad Agnone in Molise, e poi resistere al nemico nazista e al suo alleato fascista. Dopo l’8 settembre riprese il suo posto come parroco di Borgo San Dalmazzo, e si impegnò a trovare case, baite, rifugi, cibo a centinaia di ebrei provenienti dalla Francia, e a farli arrivare a Genova per imbarchi verso terre più sicure. Opera che nel 1980 gli valse dallo Stato d’Israele l’appellativo di Giusto. Ma aiutò anche i partigiani. Li aiutò in quanto prete, trafugando un cadavere di una delle vittime dell’eccidio di Boves per vegliarlo e dargli sepoltura, o confortando i tredici partigiani catturati dai nazisti in Val Grana prima della fucilazione, così come, dopo la liberazione, confessò e comunicò le spie fasciste condannate a morte. Ma fu capace anche di scontrarsi con il comunismo, che non ebbe mai paura di definire una dittatura militaresca, ma anche e duramente con la gerarchia ecclesiastica, fino a trovarsi sospeso a divinis e cacciato dalla sua parrocchia. Una storia disperata, la sua, ma un’evocazione a tratti emozionante, racchiusa in un testo breve di pagine scarne, scritte in una lingua asciutta e disadorna, che pare rendere essenziale ogni cosa e sembra riflettere un senso diffuso di spogliazione. Lo spettacolo vuole riproporre all’attenzione generale la sua figura esemplare, quella di un uomo che ha incarnato il senso di giustizia e che ha difeso sempre, senza indugi, il valore della democrazia e vuole rispondere al dovere di serbarne la memoria, anche e soprattutto nei confronti delle giovani generazioni. Ma vuole anche farsi occasione di riflessione approfondita su questioni come il senso della vocazione sacerdotale, i dubbi e le scelte di fronte alla Resistenza, il rapporto tra fede e storia, tra fedeltà ad una missione e debolezza umana, il revisionismo, l’atteggiamento dei cattolici, gli ideali traditi. Uno spettacolo che, speriamo, alla stregua del libro, possa proporsi come un buon antidoto contro le amnesie che sembrano avvelenare l’Europa di oggi. Uno sguardo lucido non solo sul passato, ma anche sul presente e sul nostro futuro. Nella nostra azione teatrale, “il prete giusto” non compare, o meglio, la scrittura scenica ne circoscrive la presenza a brevi seppur pregnanti apparizioni, cadenzate alla stregua di occasionali annotazioni diaristiche, proponendo l’immagine di una figura assorta in se stessa, irrigidita in una dolorosa riflessione interiore, che sembra consegnarsi allo struggimento, alla luce livida della solitudine. Ma ad evocarlo, ad onorarlo, a dire della sua vita, dell’intensità che risplende dietro le sue parole e i suoi gesti, a provare a decrittare le mute lettere del suo alfabeto interiore, a stringere l’atto della sua esistenza in forma di racconto, abbiamo incaricato simbolicamente chi sceglie sempre, responsabilmente e senza ambiguità, fuori dall’appartenenza generazionale, di resistere all’oblio, di non cedere alla smemoratezza. Di chi vuole scrollarsi di dosso certe scorie revisionistiche e negazioniste, ripulire i ricordi da tanta e deturpante polvere sedimentatasi negli anni, per riaffermare il valore irriducibile di ogni singola memoria, testimoniando così l’unicità di vissuti, come quello di don Viale, insopprimibili nel loro lascito. Articolo di Paolo Bogo Da Borgo San Dalmazzo a Gerusalemme Don Raimondo Viale, giusto tra le nazioni Fedele al suo nome, don Raimondo Viale (1907-1984) era un devoto del santo spagnolo Raimondo Nonnato (1200-1240) al quale, prigioniero in Algeria, fu posto un morso per impedirgli di predicare. Anche a Viale, spirito libero e vicecurato a Borgo San Dalmazzo ai tempi del fascismo, fu spesso impedito di parlare: picchiato più volte, venne poi condannato al confino in Molise per un’omelia in occasione dell’ingresso dell’Italia in guerra. Tornato a Borgo nella sua parrocchia, si ritrovò a gestire un’emergenza imprevista: l’arrivo in massa di profughi ebrei stranieri provenienti dal domicilio coatto di Saint Martin Vésubie dopo l’8 settembre 1943. Nonostante i rischi enormi dovuti all’occupazione tedesca, Viale non esitò a trovare nascondigli sicuri e a organizzare la fuga di quelli non finiti nel campo raccolta di Borgo, da dove 328 ebrei furono invece deportati ad Auschwitz il 21 novembre 1943. Un gigantesco ed eroico salvataggio che salvò centinaia di persone dalla morte, grazie ad una rete di solidarietà che coinvolse molti abitanti delle vallate vicine. Un’azione per cui la commissione dello Yad Vashem di Gerusalemme attribuì al sacerdote nel 1980 l’onorificenza di “Giusto tra le nazioni” . Proprio il diario scritto da Viale durante il viaggio nella capitale israeliana nella primavera di quell’anno fa da struggente leitmotiv allo spettacolo “Il prete giusto” che Progetto Cantoregi ha presentato con la regia di Koji Miyazaki dal 27 al 31 gennaio alla Cavallerizza di Torino. Un testo che Vincenzo Gamna e Marco Pautasso hanno liberamente tratto dall’omonimo libro di Nuto Revelli e da “Cella n° zero” di Elena Giuliano e Gino Borgna. Aiutato dalla recitazione molto corale di 18 emozionati ed emozionanti attori (tra cui va segnalata Elide Giordanengo nel ruolo di una spia fascista), pochi oggetti di scena, alcune suggestive canzoni e raffinate quanto semplici trovate visive (come la bandiera italiana fatta di vestiti), il regista giapponese ha raccontato con sobrietà e senza retorica un’epoca tragica della nostra storia attraverso la biografia di un uomo straordinario, senza tacere sulla sua successiva sospensione “a divinis”. Con risultati difficilmente dimenticabili. Paolo Bogo
di Giovanni Bonavia, regia Vincenzo Gamna Libretto Dio non irrompe nella Storia in modo generico ed impalpabile. Sceglie invece punti precisi, rappresi nello Spazio e nel Tempo, grumi di carne e di sangue, individui che vengono trasformati, transustanziati dalla inondazione divina. Tali sono i Mistici, pozzi offerti alla umanità assetata perché si abbeveri. Tale è anche Caterina Mattei, figlia della rude classe artigiana nella Racconigi a cavallo tra il ‘400 ed il ‘500. Cosa può cogliere il Pensiero Contemporaneo nella vicenda di Caterina? Poco, nonostante la sua potenza di accertamento ed il suo accesso illimitato alla informazione. Cosa può attingere dal pozzo della Mistica? Nulla, a causa delle sue inconsapevoli censure, della perduta castità, della impermeabilità ad ogni tracimazione immateriale. Caterina è solitaria, silenziosa, analfabeta. Non sa, e neppure vuole spiegare esattamente cosa le è accaduto. Gli effetti della inondazione, tuttavia, sono tangibili: come Caterina da Siena è sposa di Cristo; come Padre Pio legge la fibra profonda dei cuori; come avviene a molti Mistici affacciatisi nei secoli anche Caterina ha il corpo flagellato dalle piaghe del Redentore; profetizza; guarisce; ridona la vista; sventa fortunali; ingaggia paurosi corpo a corpo col demonio. Soprattutto: è travolta dalla necessità imperativa di strappare alla inedia spirituale quante più anime può. Caterina vuole che beviamo tutto intero il suo pozzo. Vicenda inspiegabile. Solo un miracolo spiega il miracolo.
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