di Giovanni Bonavia, ideato e diretto da Vincenzo Gamna Libretto I solisti d’una vecchia banda musicale vengono richiamati in scena, nella luce dei nostri giorni. La loro confessione si fonde alla musica; e la musica è sangue che alimenta l’umana vicenda, il suo palpito incerto. Nel 1954 Vincenzo Gamna, giovane regista cinematografico agli esordi, realizzava un documentario sull’ultima banca musicale della cittadina di Carignano. Una musica di paese bella, sana, vera, naif, fatta da gente povera, contadini e operai. Una musica che venne uccisa dall’avvento dei juke box. Ora quel documentario si fa teatro. In scena un’anziana donna, la maestra di Paese che faceva la “copista” per la banda, ovvero la correttrice degli spartiti, evoca cinque storie dei tempi della guerra di liberazione. Cinque storie povere, miserevoli, ma epiche. Come quella del partigiano appassionato di musica, solista nella banda del paese, arrestato dai tedeschi: sulla strada che lo porta all’esecuzione vede come in sogno venirgli incontro Gioacchino Rossini che lo prende sotto braccio e lo porta a passeggiare tra le stelle. Alla fine dello spettacolo la banda che non c’è più suonerà il valzer triste di Sostakovic diretta dal Maestro Rossini. La musica dei poveracci, la loro parola semplice, rende epico il teatro. Un canto semplice che non è quello della presa di Troia, ma del trionfo umile e costante della musica. Una Spoon River delle bande musicali.
Lividi
/0 Commenti/in Spettacoli /da wp_1205253PRIMA: Saluzzo, Cortile della Casa di reclusione “La Felicina, 4 luglio 2006 TESTO: Fabio Ferrero e Grazia Isoardi REGIA: Koji Miyazaki INTERPRETI: Attori della Casa di Reclusione “La Felicina”, partecipanti al laboratorio teatrale condotto da Grazia Isoardi Articolo tratto da “La Stampa” Gli attori-detenuti raccontano i “Lividi” dell’amore negato La Stampa-Cuneo, 6 luglio 2006 Nuvole nere si addensano, martedi’ sera, sopra la casa di reclusione <>, mentre il pubblico e’ in coda per entrare: piovono i primi goccioloni (per fortuna gli unici) quando il primo cancello si apre. Nel carcere, tra un’ora o poco piu’, debutta <>, il quarto spettacolo realizzato dagli attori-detenuti del laboratorio condotto da Grazia Isoardi, per il Progetto Cantoregi. Un lavoro di lunghi mesi di confronti, faticose e dolorose testimonianze che si riassume nei testi di Fabio Ferrero, Grazia Isoardi e Bakary Berte, diventati scena con la regia di Koji Miyazaki. All’ingresso c’e’ Marta Costantino, la direttrice de <> che ha voluto la nascita di questo progetto e ne e’ l’entusiastica sostenitrice: come ha fatto nelle passate edizioni – <>, <>, <> – non ha voluto assistere alle prove, per non sciupare la sorpresa del debutto. Martedi’ e’ una serata speciale: alle 21, si gioca Italia-Germania, per l’ingresso in finale ai Mondiali. E una curiosa coincidenza: per la prima volta uno spettacolo del laboratorio va in scena di sera. I primi spettatori attraversano il cortile accolti da voci senza volto, che escono dalle finestre sbarrate: <>, <<sara’ 2=”” a=”” 0=””>>, <>. Nel cortile piu’ interno, diventato teatro, rosse le sedie e rosse le quinte fatte di lunghe strisce di stoffa smosse dalla brezza. Dei 25 attori, due hanno partecipato a tutte le rappresentazioni, molti sono stranieri: nel colore della pelle, una sintesi di umanita’. Un’umanita’ dolente che grida il suo bisogno d’amore negato. La prima immagine evoca Ulisse, legato al palo della nave: il canto delle sirena fa scalciare nel vento chi e’ fatto di <<carne, sudore,=”” sangue=”” e=”” lacrime=””>>. E il corpo <> si logora, si copre di <>. Passa un’ora, a tratti arriva l’eco della partita, la voce dei cronisti riempe i silenzi degli attori. Poi applausi, strette di mano. E mentre il pubblico esce, l’urlo: l’Italia ha segnato. Vanna Pescatori
</carne,></sara’>
Omnes Colores
/0 Commenti/in Spettacoli /da wp_1205253PRIMA: Racconigi, Parco ex ospedale psichiatrico, 2 giugno 2006 TESTO: Tratto dai racconti di Marina Pepino REGIA: Koji Miyazaki AMBIENTE E LUCI: Koji Miyazaki VIDEO: Fabio Ferrero COSTUMI: Luciana Bodda e Rinuccia Burzio INTERPRETI: gli attori del laboratorio integrato Dsm – Asl 17, diretti da Grazia Isoardi
InVocazioni
/0 Commenti/in Spettacoli /da wp_1205253PRIMA: Torino, Cortile del Maglio, nell’ambito di domande a Dio, Torino Spiritualità, 20 settembre 2005 TESTO: Elaborazione di Marco Pautasso, da testi di poeti italiani del Novecento REGIA: Koji Miyazaki AMBIENTE E LUCI: Koji Miyazaki Libretto Titola InVocazioni la brave azione teatrale chiamata ad inaugurare gli appuntamenti di Torino Spiritualità. Ma che cos’è InVocazioni ? Parlare al riguardo di spettacolo pare davvero riduttivo, se non inopportuno. Si configura infatti come una composizione uno actu e in forma scenica di invocazioni al Mistero, al dio ignoto, di espressioni rituali di natura devozionale dalle differenti provenienze, mariconducibili alle sette religioni maggiormente professate nel mondo: cattolica, protestante, ortodossa, ebrea, islamica, induista, buddista. Si propone pertanto, pur nella sua veste teatrale, come una cerimonia religiosa sui generis, unica, forse irripetibile, perché infusa di spirito ecumenico, in aperta contrapposizione a chi, di questi tempi, tira in ballo invece le guerre di religione e di civiltà come categoria dialettica cui ricorrere per interpretare la complessità della convivenza civile. Un’ azione scenica dunque che, proprio perché risponde ad una logica di comunione plurale, intende fornire il suo piccolo contributo alla conoscenza dei diversi mondi di fede e di tradizione, nel segno di un dialogo che non rinunci mai alle proprie identità e peculiarità, ma stimoli ed alimenti i momenti di confronto, di riflessione con l’altro, per incontrare e forse comprendere i tanti modi di dire Dio. Quasi a volere, anche se per una sera soltanto, comporre una nuova e inusitata “liturgia”, dove le diverse pratiche devozionali proposte testimoniano la ricchezza dei rispettivi approcci mistici che, al di là delle differenti provenienze ed esperienze, riflettono una comune condizione umana, la ricerca di Dio. InVocazioni intende dunque dare spazio all’ascolto, farsi strumento di un dialogo autentico, per accogliere l’altro ed accettarne l’alterità. Ma InVocazioni vuole anche e soprattutto porsi come viatico per avvicinare un mondo tra i più fantasiosi ed affascinanti che l’umanità frequenti, la preghiera, fenomeno umano universale che supera i confini delle divisioni tradizionali – talvolta anche tra credenti e non -, e che non appare soltanto testimonianza di una fede, ma riflette culture, tradizioni che abbracciano un arco storico (e letterario) spesso più che millenario. Un territorio immenso dove, nell’intento di rispondere all’istanza primaria dell’uomo, a quelle domande di senso che sgorgano naturalmente dal cuore di milioni di persone, si mescolano fino a fondersi sentimenti, convinzioni, desideri, bisogni, paure, speranze, ma anche trascendenza, immanenza, mito e mistica. E che si rivela agli occhi più attenti e sensibili spettro cromatico variegatissimo, che non conosce una sola, ma infinite modalità di espressione, e che è insieme formule, contemplazione silenziosa, lodi, suppliche, implorazioni, rituali, canti, danze. Tutti questi atteggiamenti oranti come tessere del mosaico multicolore e universale che si chiamadevozione. InVocazioni, infine, vuole proporsi come un viaggio. Un viaggio nel tempo e nello spazio. Un viaggio da intraprendere tuttavia insieme, dialogando con i compagni di strada delle altre confessioni, come se fossimo tutti viandanti, pellegrini alla ricerca delle ragioni della vita e dell’essere, alla ricerca di una luce che illumini il nostro cammino, che vinca le ombre notturne che si allungano sull’adesso e riscaldi un poco l’inverno dello spirito in cui siamo precipitati. Un viaggio che è anche itinerario interiore, un cammino verso un “non luogo”, verso quel mondo ideale, dove possa abitare una nuova umanità. E se pregare per Eschilo è respiro che sale verso l’alto, questo nostro comune cammino, questa umana ascesa spirituale che InVocazioni si propone, nella sua semplicità, di raccontare, non può allo stesso modo rinunciare a quel soffio vitale, profondo e potente, che si chiama poesia. A far da cesura tra un rituale e l’altro, InVocazioni offrirà infatti un parallelo percorso poetico, scandito dalla lettura di liriche di ispirazione religiosa di alcuni fra i maggiori esponenti del nostro Novecento letterario: Mario Luzi, Antonia Pozzi, Giovanni Testori, Elena Bono, Donata Doni, tra gli altri. Quasi a voler guardare alla poesia come ad una sorella della fede, o ad immaginare i poeti nei panni incomodi di profeti, di servitori illuminati dell’umanità che, nello sperimentare nuove forme dialogiche, dischiudono altre possibili vie di comunicazione con il trascendente. Perché la poesia, come ci ricorda Padre Enzo Bianchi, «non solo indica una direzione, una possibilità di vita oltre quella morte che sembra insidiare inesorabilmente l’uomo, ma è dono prezioso per restaurare la pienezza della vita interiore, senza la quale l’umanità si avvierebbe a quel processo di autodistruzione che nasce da un antiumanesimo integrale».
Amen
/0 Commenti/in Spettacoli /da wp_1205253PRIMA: Saluzzo, Cortile della Casa di reclusione “La Felicina, 6 luglio 2005 TESTO: Grazia Isoardi REGIA: Koji Miyazaki ELAB. SONORE: Gilberto Richiero INTERPRETI: Attori della Casa di Reclusione “La Felicina”, partecipanti al laboratorio teatrale condotto da Grazia Isoardi Libretto Per il terzo anno consecutivo, dopo il successo dei due primi allestimenti, «La soglia» e «Il luogo dei cigni», viene proposto in collaborazione con l’Associazione VOCI ERRANTI di Racconigi il nuovo spettacolo realizzato con i detenuti del carcere La Felicina di Saluzzo. Lo spettacolo viene a conclusione di un’attività laboratoriale condotta, come sempre, da Grazia Isoardi, che ha riguardato quest’anno i temi della spiritualità. “I detenuti mettono in scena i pilastri della spiritualità umana attraverso le grandi religioni.” Articolo tratto da “La Stampa” “Amen” il cortile del carcere diventa palcoscenico La Stampa-Cuneo, 6 luglio 2005 Il suono antico dello shofar, il corno biblico che richiama alla preghiera, invade il cortile del carcere <>. Su due dune di sabbia siedono quattro profeti. Al centro un passaggio, forse la via per la salvezza, forse le acque del Mar Rosso che si aprono. Sono le prime immagini di <>, lo spettacolo realizzato dal laboratorio condotto per nove mesi da Grazia Isoardi, con i detenuti della Casa di reclusione di Saluzzo, nell’ambito del Progetto Cantoregi, in collaborazione con l’associazione Voci Erranti, nella quinta edizione de <>. Ieri l’ultima prova, prima del debutto. <> e’ un percorso alla ricerca della religiosita’: uno spettacolo che non poteva nascere che qui, fra quest’umanita’ dolente che incarna l’Uomo nel suo difficile rapporto con il Divino. Un altro profeta attraversa la scena, irrorata d’acqua. Lo accompagna una voce: <>. E l’uomo comune giunge, moltiplicato in venti individualita’, che si stendono a terra; sembrano nuotare, evocano Giona che esce dalla balena. I profeti parlano all’uomo ed e’ subito accusa: <>. Poi la consegna: <>. Il viaggio e’ arduo, il peso delle colpe da portare sono i sacchetti di zavorra che gli uomini recano con se’. Sorge spontanea la preghiera (indu, islamica, ortodossa e cattolica) come un sollievo, ma non basta ai profeti: <>. C’e’ chi si ribella, chi rifiuta, ma un leggero scampanio induce un’altra verita’: la necessita’ della purificazione. Gli uomini si flagellano con rami d’alloro, mentre il percorso si avvia all’epilogo, nel riconoscimento della carita’, dell’amore per l’altro, nella nascita di un nuovo Adamo che ha le sembianze del Cristo deposto dalla croce. <>. La prova e’ finita. Gli attori cercano una conferma al loro impegno. Sono entusiasti, ma hanno paura delle reazioni del pubblico: <>. Da oggi, per tre giorni, quasi mille persone, in sei turni (due ogni giorno alle 16 e alle 18), ascolteranno questa parola: la stessa della preghiera sentita un giorno nel carcere, durante il laboratorio, da Grazia Isoardi e dai suoi 27 allievi. Tutto il lavoro e’ partito di li’, a completare una trilogia, iniziata con <> e proseguita con <>, con lo stesso regista Koji Miyazaki e il convinto sostegno della direttrice de <>, Marta Costantino. Perche’ <>. Vanna Pescatori
De Senectute
/0 Commenti/in Spettacoli /da wp_1205253PRIMA: Racconigi, Parco ex ospedale psichiatrico, 24 giugno 2005 TESTO: Vincenzo Gamna e Marco Pautasso, liberamente tratto da De senectute di Norberto Bobbio REGIA: Koji Miyazaki AMBIENTE E LUCI: Koji Miyazaki ELAB. SONORE: Gilberto Richiero COSTUMI: Luciana Bodda e Rinuccia Burzio INTERPRETI: Giovanni Moretti e gli attori dei laboratori teatrali “Centro incontro anziani” e “Voci Erranti”, diretti da Grazia Isoardi Libretto Le toccanti notazioni autobiografiche di Norberto Bobbio, le sue lucide e puntuali riflessioni sulla vecchiaia, cristallizzate nel saggio DE SENECTUTE, rielaborate drammaturgicamente ed accordate alle testimonianze emerse nel percorso laboratoriale presso il Centro Incontro Anziani di Racconigi, sono divenute fonte ispiratrice e principio informatore di una piccola creazione teatrale dedicata alla senescenza. Una proposta scenica che non si pone solo come un tentativo di esplorazione della terza e quarta età e dei suoi temi ricorrenti (l’indigenza, la solitudine, la memoria, la malattia), ma prova ad accendere una piccola luce nel nostro buio interiore, svelando a noi stessi quella verità che non abbiamo il coraggio di affrontare e che i vecchi invece segnalano: la condizione dell’esistenza umana, quell’angoscia insita nel nostro destino di mortali. Forse per questo, per la sua prossimità alla morte, la vecchiaia fa paura. Oggi, prima che definizione del naturale decadimento proprio dell’età avanzata, la vecchiaia pare uno stile di vita imposto dagli altri, una condizione indotta dalla società, dall’ambiente circostante, impegnato a risolvere le problematiche proprie degli anziani solo in termini di razionalità ed efficienza, senza alcuna capacità di ascolto, senza provare a dare loro voce. Ai vecchi vengono concessi spazi espressivi sempre più ridotti, vengono anzi imposti rigidi binari su cui devono incanalare quel che resta delle loro traiettorie di vita, senza possibilità di deviare, di cambiare percorso, dovendo altrimenti incorrere nella censura e nel pregiudizio sociale: ai giovani in qualche modo è permesso tutto, agli anziani non più. E quando si proibisce ad un corpo l’espressione di sé, quel corpo che col tempo diviene spesso più impedimento che strumento per stare al mondo, anziché aprirsi agli altri, si rinchiude nell’isolamento, nel silenzio, nel ricordo e nel rimpianto. Parcheggiati nell’inedia, in questo grande ospizio che per loro è divenuto il mondo, amputati se non deprivati della loro capacità affettiva, offesa la loro dignità di persona, i vecchi si lasciano vivere. Sopravvivono. E alla fine solo la morte, o la follia, sembrano riuscire a restituire loro quella soggettività negata. Articolo di Silvia Francia tratto da “La Stampa” Vecchiaia: a confronto il filosofo e un “nonno” qualunque La Stampa-Torino, 17 ottobre 2006 La vecchiaia secondo il filosofo e la vecchiaia secondo gli utenti di un Centro Incontro Anziani. Sara’ poi tanto diversa, la percezione di questo estremo segmento della vita, a seconda che a farne esperienza sia un pensatore come Norberto Bobbio oppure un <> qualunque, nella fattispecie uno di quelli che frequentano un centro ad hoc di Racconigi? Una domanda implicita, che sembra giustificare la formulazione secondo la Compagnia Progetto Cantoregi, che ha allestito <> di Bobbio: lo spettacolo, realizzato con lo Stabile torinese e inserito nel progetto che celebra il decennale della pubblicazione del saggio, e’ in cartellone al Maneggio Reale della Cavallerizza per questa sera e domani alle 20,45, domenica alle 15,30. Gli autori Vincenzo Gamna e Marco Pautasso e il regista giapponese Koji Miyazaki, sono partiti proprio da indicazioni e illuminazioni del celebre testo e da concetti come quello della <>, per coinvolgere nella riflessione un gruppo di anziani, che interpretano lo spettacolo, con l’attore Giovanni Moretti. Gli anziani raccontano se stessi, dunque, in un percorso rappresentativo che non e’ solo esposizione di temi ricorrenti – indigenza, solitudine, memoria, malattia – ma anche un tentativo di guardare molto da vicino l’angoscia della fine, insita nel nostro destino di mortali. Centrale, nello spettacolo, la tesi che oggi piu’ che in passato <>, una condizione indotta da una societa’ che misura il comparto <> secondo criteri di razionalita’, efficienza e consumo. Parametri rigidi, che non lasciano spazio all’ascolto. Sicche’ ai vecchi, via via che imbiancano, non restano che rigidi binari sgangherati su cui incanalare quel che resta delle loro traiettorie di vita. Silvia Francia Articolo di Maurizio Crosetti tratto da “La Repubblica” Dodici vecchi recitano Bobbio la Repubblica -Torino, 25 giugno 2005 Si sono messi a provare lo spettacolo dove un tempo c’ era la pista da ballo del manicomio, in mezzo al parco, sotto una pioggia di fiori di tiglio. Il profumo è dolciastro. Il dolore, mai del tutto dissolto. Sono dodici anziani più un attore professionista, Giovanni Moretti, e recitano il De Senectute di Norberto Bobbio. I vecchi che raccontano la vecchiaia: può bastare un gesto dolente, una parola lasciata vagare nell’ aria, una smorfia. Tutto ormai è vuoto, i padiglioni deserti, i muri scrostati, le panche sbilenche ma c’ è vita fortissima e densissima ovunque. Da fuori arriva, appena attutito, il rumore di un camion. «La discesa verso il non luogo, è lunga!» declama il protagonista, mentre i dodici vecchi fingono di dormire sulle carrozzine. Fanno tenerezza ma non pena. Hanno solo i ricordi, gialle fotografie stampate su ombrelli aperti da tenere sul volto e poi dondolare, scudo e rifugio. Si chiama «Progetto Cantoregi» ed è una rassegna teatrale nell’ ex Ospedale Psichiatrico di Racconigi, tra Cuneo e Torino, dove da ieri al 28 giugno (ore 21.30) è di scena il testo di Bobbio adattato da Marco Pautasso e Vincenzo Gamna, con la regia di Koji Miyazaki. E davvero tutto è speciale. Il luogo, il copione e gli attori, specialmente loro. Il più giovane ha 67 anni, il più vecchio 81. Li hanno ingaggiati con l’ aiuto dell’ assessorato ai servizi sociali, hanno fatto laboratorio di gesti e parole insieme a Grazia Isoardi e a ragazzi più abituati al palcoscenico, e in questo barnum c’ è posto per un detenuto del carcere di Fossano in permesso, Saddik, tunisino, e per l’ ivoriano Bubaz che è uscito l’ anno scorso e adesso recita, ma anche per qualche ex ospite del manicomio. Tenuti insieme, tutti, dalle riflessioni di Bobbio sulla vecchiaia, sulla morte che poi è solitudine, esclusione e diversità. Per il malato, il matto, il vecchio o il prigioniero, il dolore non cambia segno. «Gli anziani vengono rimossi perché ci ricordano la morte, compresa la nostra, e in questa società delle mistificazioni non è permesso» dice Marco Pautasso, uno degli autori. è lui a governare la prova generale, ma ormai gli attori sanno calibrare movenze e voci come se lo facessero da sempre. «La sensazione che provo nell’ essere ancora vivo è soprattutto di stupore, di incredulità». «Direi con una parola che ho una vecchiaia melanconica, intesa la malinconia come la consapevolezza che il cammino non solo non è compiuto, ma non hai più tempo di compierlo». Bisogna ripetere la scena delle carrozzelle davanti al televisore, è finita la batteria del primo microfono. «Si dice: alla fine tu sei quello che hai pensato, amato, compiuto. Aggiungerei: tu sei quello che ricordi». Le voci rimbalzano nei lunghi viali vuoti, dai padiglioni più lontani non si tornava indietro, per esempio il terribile Morselli, ed ecco il reparto agitati e le celle d’ isolamento. Così è rimasto qui dentro Eugenio per tutta la vita, arrivò che non aveva ancora cinque anni. Nel 2001 il manicomio ha chiuso anche gli ultimi reparti ma c’ è chi non lo lascia, è Mario, ogni notte viene in bicicletta a controllare che tutto sia a posto, guardiano del nulla che però per lui è tutto, perché c’ è dentro l’ intera sua vita trascorsa qui. Una casa, anche del dolore, rimane una casa. E questa era di più, era una città abitata da 1.420 reclusi e perfettamente autonoma con la sua centrale termica, l’ obitorio, la colonia agricola dove si poteva lavorare solo come premio, in cambio di un bicchiere di vino a cena. C’ era il panificio trasformato dagli ex matti in palestra ed è lì che ora provano gli spettacoli, e poi il reparto dei “cit”, i bambini, quelli che magari entravano perché mongoloidi o appena ritardati o solo figli incestuosi o illegittimi, lasciati in un fagotto e mai più liberi, senza avere conosciuto neppure un giorno normale, fuori. Tutto il dolore senza voce ma con tanta storia, e si può raccontare facendo finta, con la scusa del teatro, perché invece è proprio vero. Finché i vecchi non si alzano in piedi e lasciano le carrozzelle, non perché vinca la vita ma perché si è arrivati al dunque, e si smonta. «La mia morte è imprevedibile per tutti, ma per me è anche indicibile». Cigola una ruota, piovono altri fiori. C’ è un vento leggerissimo. Maurizio Crosetti Articolo di Alfonso Cipolla tratto da “La Repubblica” Bobbio e la vecchiaia in scena con Cantoregi la Repubblica-Torino , 17 ottobre 2006 La forza del Progetto Cantoregi è quella di pensare a un teatro fuori dalla logica commerciale del teatro. è un privilegio che consente di concepire lo spettacolo come una tappa di un percorso capace di aprirsi fino ad accogliere al suo interno una vera e propria comunità ritrovata. è quanto accade anche nel De senectute, una rielaborazione scenica dell’ impietoso saggio sulla vecchiaia di Norberto Bobbio firmata da Vincenzo Gamna e Marco Pautasso per la regia di Koji Miyazaki. Fedele alla propria poetica, la Cantoregi mescola il popolare alla riflessione colta. Anziani veri portano testimonianza di sé: schegge di solitudine, di malattia, di disgregazione di ricordi, che concorrono quasi a formare geometrie simboliche e coreografiche. Agli attori dei laboratori teatrali di Racconigi, del Centro Incontro Anziani e delle Voci erranti diretti da Grazia Isoardi, si sovrappone Giovanni Moretti che alle parole di Bobbio dà corpo, quasi per notomizzarle, per seguire le più recondite costruzioni del pensiero, tanto lucido e implacabile quanto armoniosamente ricco di un vissuto non detto e ormai spento. Ne nasce uno spettacolo lancinante e visivamente ineccepibile: una tappa importante del lungo cammino della Cantoregi, di cui Salvatore Gerace e Erika Monforte hanno appena ricostruito la storia nel volume In cerca di un paese. I trent’ anni del Progetto Cantoregi, uscito in questi giorni per i tipi delle Edizioni Seb 27. De senectute debutterà questa sera alla Cavallerizza, Maneggio Reale e vi rimarrà in scena fino a domenica. Uno spettacolo da non perdere. Alfonso Cipolla Articolo di Aldo Mano tratto da “La Stampa” De Senectute storie dal mondo degli anziani La Stampa-Nord Ovest , 22 giugno 2005 Una ricognizione sul mondo degli anziani, una riflessione sulla vita nelle case di riposo, protagonisti Giovanni Moretti e gli attori del laboratorio teatrale del Centro Anziani di Racconigi, per la regia di Koji Miyazaki. Si conclude cosi’, con il <>, il 5 festival <>: e’ l’evento piu’ atteso, quello che Vincenzo Gamna e Marco Pautasso del <> hanno liberamente tratto dall’omonimo saggio sulla vecchiaia scritto da Norberto Bobbio. La morte e’ al centro dello spettacolo che verra’ proposto nel parco dell’ex ospedale psichiatrico di Racconigi, dalle 21,30, da venerdi’ a martedi’ 28. Prendendo spunto dal testo del filosofo piemontese, scomparso nel gennaio 2004 a 94 anni, gli autori hanno elaborato una proposta teatrale che cerca di indagare la terza e quarta eta’, che prova a raccontare quella stagione della vita – la vecchiaia – che e’ diventata un grande e irrisolto problema sociale, non solo perche’ e’ aumentato il numero dei vecchi, ma anche perche’ e’ cresciuto il numero di anni che si vivono da vecchi. Abilmente diretti dal regista giapponese, accanto al <> Giovanni Moretti, gli anziani <> racconigesi si muovono perfettamente a loro agio sulla scena. C’e’ Carla, 80 anni, insegnante elementare in pensione, vedova da quasi 40 anni, nonna a tempo pieno. C’e’ Anna, 65, anche lei insegnante in pensione, con un marito pensionato e un figlio trentenne. Poi Franca, 64, ex infermiera del neuro, che ha voluto tornare nei luoghi dove ha lavorato per una vita; Ettore, 82, pittore e scapolo impenitente; Mario, 64, ex impiegato dell’Asl, deluso dalla politica e di recente nonno; Andreina, casalinga per tutta la vita, vedova da poco, che non sa piu’ come far passare il tempo; Antonio, detto <>, 72 anni, scapolo, da tanti anni attore in svariate compagnie dialettali. E gli altri, tutti con vita e storie differenti, ma con un unico comune denominatore: diversi fra loro per eta’ e situazioni, condividono le motivazioni che li hanno spinti prima a frequentare il laboratorio teatrale di Grazia Isoardi, poi a provare l’emozione della scena. <<e’ un=”” modo=”” per=”” trascorrere=”” il=”” tempo=”” -=”” dicono=”” -,=”” impegnandoci=”” in=”” qualcosa=”” di=”” costruttivo,=”” che=”” ci=”” fa=”” sentire=”” ancora=”” utili.=”” mantenere=”” allenata=”” la=”” memoria,=”” diversamente=”” si=”” affievolisce=”” giorno=”” giorno,=”” e=”” illuderci=”” essere=”” giovani.=”” palcoscenico=”” gli=”” spettatori=”” diranno=”” se=”” ne=”” e’=”” valsa=”” pena=””>>. <</e’>
Fà che sia seta
/0 Commenti/in Spettacoli /da wp_1205253PRIMA: Racconigi, Chiesa di San Giovanni Decollato, 13 giugno 2005 TESTO: Eric Minetto e Emiliano Poddi, da uno scritto di Mario Monasterolo REGIA: Vincenzo Gamna AMBIENTE E LUCI: Koji Miyazaki ELAB. SONORE: Gilberto Richiero COSTUMI: Luciana Bodda, Rinuccia Burzio INTERPRETI: Alessandra Lappano, Majlinda Agaj, Anita Cordasco Sul finire del ‘700 Racconigi era una città di circa 12.000 abitanti che spiccava soprattutto per essere l’indiscussa «capitale» sabauda dell’arte della seta. Vi operavano allora 33 setifici, che davano lavoro ad oltre 4000 persone e producevano poco più di un terzo della seta prodotta negli stati sabaudi. Lo spettacolo proverà dunque a riproporre questa «epopea» racconigese, a ricucire in forma di racconto le tante storie, anche d’amore e di rivoluzione, legate alla seta e alla sua produzione. “Al finir del ‘700, storie d’amore e rivoluzione all’ombra dei filatoi di Racconigi.”
UccidereNonUccidere
/0 Commenti/in Spettacoli /da wp_1205253PRIMA: Racconigi, Parco ex ospedale psichiatrico, 21 giugno 2004 PROGETTO: Fabio Ferrero e Koji Miyazaki TESTO: Fabio Ferrero. Il testo trae spunto da un laboratorio di scrittura creativa, condotto da Eric Minetto e Alberto De Magistris della Scuola Holden di Torino REGIA: Koji Miyazaki AMBIENTE: Koji Miyazaki INTERPRETI: Attori del dipartimento di salute mentale dell’Asl 17 UccidereNonUccidere vuole essere un percorso interiore che si snoda attraverso alcuni temi fondamentali del vivere quotidiano che diventano passaggi obbligati per la ricerca soggettiva di una possibile salvazione. Lei, signor Millefacce, dirà che il mio problema sta nella testa, che la colpa è del mio cervello… Beh, ha ragione… Sono vittima del mio cervello. Non riesco a farlo smettere. Non riesco a fermarlo. E vince. Sempre il mio cervello, vince. Ora non mi servono parole. Di me dicono che sono un debole. Dicono, signor Millefacce, che i deboli non riescono a saltare, né a volare. In questo mondo fugace come un sogno io voglio solo dare un senso alla mia vita. Il volo. Sono stanco di avere i piedi inchiodati a terra. E nella più grande debolezza, ho conosciuto la mia forza.
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Tutto il materiale contenuto all’interno del sito www.progettocantoregi.it è soggetto a Copyright © 2019 Progetto Cantoregi. E’ pertanto vietata la riproduzione senza l’autorizzazione del titolare dei diritti.
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