WHITE RABBIT RED RABBIT
con Alessandra Lappano / autore Nassim Soleimanpour
White rabbit red rabbit è un testo teatrale scritto dall’iraniano Nassim Soleimanpour nel 2010, all’età di 29 anni, in un momento in cui non aveva possibilità di lasciare il suo paese. Grazie a 369gradi, da marzo 2023 per un intero anno, il testo teatrale più libero, più misterioso e più informale del mondo si mette al servizio della drammaturgia. Un testo che parla di omologazione, libertà, obbedienza, temi molto attuali a causa di repressione instauratosi in Iran. L’attrice o l’attore, che lo interpreta per un’unica volta, senza regia e senza prove, sul palcoscenico davanti al pubblico apre la busta sigillata che contiene il testo e ne condivide il contenuto con gli spettatori. Una sedia, un tavolo, due bicchieri, gli oggetti concessi. Ci sono delle regole da rispettare per chi accetta la sfida: chi decide di portarlo sulla scena non può averlo visto prima. Deve arrivare sul palco portando in dote coraggio e leggerezza, intraprendenza, ironia ed intelligenza.
AFÀNISI
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Si può fare uno spettacolo in cui non c’è niente da vedere? Ciao. Questa è la sinossi e abbiamo già un problema. Forse tu volevi un trailer come al cinema? Qualcosa che dia l’idea, un piccolo assaggio. E invece guardati. Soltanto tu che leggi e queste parole davanti. Che frustrazione. Come al museo. Le lunghe descrizioni che nessuno legge. Parole parole parole che vogliono spiegare. Aiuto. Dove sono le porte aperte su altri mondi? Dov’è il pugno nello stomaco, il pianto a dirotto, il riso a squarciagola? Niente. Questa è solo una sinossi e non stupisce. Non dà risposte e – anzi – si mette pure a farti domande. Ehi. Tu. Tu che stai leggendo – stai ancora leggendo vero? Cosa desideri? Cosa vorresti vedere? Lascia perdere chi sei, dove ti trovi, che ore sono etc. Pensa la prima cosa che ti viene in mente. Ecco. Questo spettacolo parla di quella. Proprio quella. E di molte altre che ancora non hai pensato.
DISPREZZO DELLA DONNA. IL FUTURISMO DELLA SPECIE
Frosini/Timpano
Una cantata a due voci dedicata ai futuristi e al disprezzo della donna: uno spettacolo contro la donna che ostacola la marcia dell’uomo, contro quei fantasmi romantici che si chiamano donna unica, amore eterno e fedeltà, contro il femminismo e contro la famiglia, contro la democrazia econtro il parlamentarismo. Uno spettacolo femminista, composto da materiali che non lo sono affatto. “La recitazione è vorticosa e avvolgente. Frosini e Timpano sono agenti dello stesso turbine. Ci trascinano dentro un linguaggio che sublima i miti di un’avanguardia. Il ritmo è avvincente. Ne siamo travolti e abbacinati. L’estetica divora i contenuti. Contempliamo, divertiti e spiazzati, quel coagulo di provocazioni reboanti. Domina la musicalità metallica del verso, la forza poietica della parola, l’azione che sovrasta i sentimentalismi e le pastoie romantiche.”
L’ANGELO DELLA STORIA
Sotterraneo
Nel suo ultimo lavoro il filosofo Walter Benjamin descrive un angelo che vola con lo sguardo rivolto al passato, dando le spalle al futuro: le macerie di edifici e ideologie si accumulano davanti ai suoi occhi e l’angelo vorrebbe fermarsi a ricomporre i detriti, ma una tempesta gonfia le sue ali e lo trascina inesorabilmente in avanti. Questa tempesta è ciò che chiamiamo progresso. Per quanto l’angelo osservi il susseguirsi degli eventi e cerchi di resistere alla tempesta, non può fermarsi e intervenire, non può rincollare i pezzi e rifondare una realtà condivisa, non può fare assolutamente nulla per aiutarci – se non altro perché gli angeli non esistono. Quale altro essere senziente potrebbe provare a ricomporre l’infranto, smontare le narrazioni e – volando o meno – finalmente girarsi per proiettare lo sguardo in avanti?
TRE SORELLE
Muta Imago
Abbiamo cercato in ogni parola delle tre sorelle dove risuonasse questa lotta, questo sforzo continuo di costruire un luogo inviolabile contro l’inevitabile scorrere degli eventi. Siamo partiti da loro tre, come indicato nel titolo, che non a caso le mette al centro di tutto: tre donne rimaste sole, nel vuoto pieno di echi di una casa lasciata da tutte e tutti. Ogni cosa è già successa, o forse deve ancora accadere, tra le pareti di un edificio sospeso nello spazio-tempo, ultimo rifugio nel cuore di un buco nero, sospeso in un eterno presente bloccato tra un passato da ricordare con nostalgia e un futuro che si fa fatica a immaginare. Da lì, dalla stanza principale della casa, da questo “piccolo punto focale” inizia la rivoluzione di tre donne che lottano disperatamente per cercare un senso, per scavalcare l’orizzonte degli eventi e rientrare nel mondo, per rispondere a una semplice domanda, che non a caso apre il dramma di Cechov: Perché ricordare?
IN GIRUM IMUS NOCTE ET CONSUMIMUR IGNI
Aldes/Roberto Castello
Uno scabro bianco e nero e una musica ipnotica sono l’ambiente nel quale si inanellano le micro narrazioni di questo peripatetico spettacolo notturno a cavallo fra cinema, danza e teatro. Illuminato dalla fredda luce di un video proiettore che scandisce spazi, tempi e geometrie, il nero profondo dei costumi rende diafani i personaggi e li proietta in un passato senza tempo abitato da un’umanità allo sbando che avanza e si dibatte con una gestualità brusca, emotiva e scomposta, oltre lo sfinimento; mentre il ritmo martellante trasporta poco a poco in una dimensione ipnotica e ad un’empatia quasi fisica con la fatica degli interpreti. ”In girum imus nocte et consumimur igni”, “Andiamo in giro la notte e siamo consumati dal fuoco”, enigmatico palindromo latino dalle origini incerte che già fu scelto come titolo da Guy Debord per un famoso film del 1978, va così oltre la sua possibile interpretazione di metafora del vivere come infinito consumarsi nei desideri, per diventare un’esperienza catartica della sua, anche comica, grottesca fatica.
QUESTO LAVORO SULL’ARANCIA
di Marco Augusto Chenevier
Cosa accade se uno spettacolo di danza, anziché come oggetto di linguaggio, viene costruito quale esperienza? Quante volte, nell’assistere ad uno spettacolo di danza, avremmo voluto poter intervenire? Quante volte la noia, spesso determinata dalla perdita di senso, ci spingerebbe ad abbandonare la sala, o almeno ad esprimere il nostro dissenso? E quante volte nel vedere movimento, avremmo voglia di danzare, per “sentire” ciò che viene proposto? Ma l’habitus sociale ci relega sulla sedia di spettatori, inserendoci poi in complessi circuiti di rielaborazioni post-spettacolori legate al tipo di spettacolo, al tipo di pubblico ed alla situazione in cui un certo lavoro viene programmato. Questi rapporti di forza riflettono rapporti di potere ben più complessi presenti nella realtà di tutti i giorni.
SAVE THE LAST DANCE FOR ME
invenzione di Alessandro Sciarroni
Alessandro Sciarroni lavora assieme ai danzatori Gianmaria Borzillo e Giovanfrancesco Giannini sui passi di un ballo bolognese chiamato Polka Chinata, una danza di corteggiamento eseguita in origine da soli uomini e risalente ai primi del ‘900: fisicamente impegnativa, quasi acrobatica, prevede che i danzatori abbracciati l’un l’altro, girino vorticosamente mentre si piegano sulle ginocchia quasi fino a terra. Il lavoro nasce in collaborazione con Giancarlo Stagni, un maestro di balli Filuzziani che ha ridato vita a questa antica tradizione grazie alla riscoperta e allo studio di alcuni video di documentazione risalenti agli anni ’60. Sciarroni scopre questa danza nel dicembre 2018 quando la danza era praticata in Italia solo da 5 persone in tutto. Per questa ragione, il progetto è composto da una performance eseguita dai due danzatori e da una serie di workshop volti a diffondere e ridare vita a questa tradizione popolare in via d’estinzione.